IL CAVALIERE SUL BAULE
(Sogno
del settembre 2014)
Testo
ed illustrazioni:Claudio Bellato.
“E
nelle case vuote con la loro polvere ,con i libri con i loro pianoforti chiusi
,con i loro armadi bianchi e i vestiti buttati come stracci,con i suoi matrimoni,
con i figli lontani ,con i pianti e i funerali,che il ricordo prende vita ,e in sogno
arrivano luoghi mai visti e prendono forma, come rivolta ad un Dio silenzioso
,creando territori che diventano una patria della quale sei tu il solo padrone .Tu
il re bambino.”
Claudio
Bellato o uno stronzo qualunque- 1992 circa.
“Io
sono uno che molti anni fa ha implorato
una vita che non gli spettava,pur sapendo che aveva una possibilità su un
milione di onorare il proprio debito,quel prestito gli è stato concesso.
Ora
che il tempo massimo è scaduto, e non c’è più nessuna proroga…”
Questo
mi diceva Alfredo dal suo letto d’ospedale una domenica di fine estate a Milano
. In una stanza deserta dove poco prima mi accomodava un magro medico in
barbetta grigia e occhi sottili da pesce annoiato che richiuse abbassando il
capo, dopo avermi guardato per un
istante.
“
Non ti agitare” gli dissi.
Il
sudore gli bagnava la fronte ,scendendo sui baffoni scuri. Poco dopo si
riaddormentò .
Fuori
i lunghi palazzi color marrone caldo gettavano le loro ombre sulle strade
deserte.
Dove
erano finiti tutti? Inghiottiti dalle ferie? O da qualche strano morbo?
Un
gatto sfrecciava dentro ad un tombino…Da un palazzo udii un suono. Come una radio lontana.
Richiusi
la porta dietro di me.
Scesi
le scale dell’ ospedale, ma non c’era nessuno. Strade bianche con manifesti
sgualciti mi parlavano di fiere ormai passate da mesi. Testimoniavano la vita
apparente di una città abbandonata. Siepi e corrimano arrugginiti ,svoltavano
su palazzi dai colori caldi,dove generazioni si erano consumate.
Ma
di loro che ne era stato?
Erano
usciti dalla città per entrare in altri luoghi .
Alla
fermata della metropolitana non c’era nessuno, luci blu e rumori di
interferenze radio. Salgo e finalmente qualcuno si vede. E’ un branco di
ragazzi che si tirano gli zaini da un lato all’altro dello scompartimento, poi
la battaglia prosegue con gli sputi. Ci siamo solo noi, io mi siedo e mi
afferro alla sbarra lasciandomi scivolare dolcemente.
Li
guardo, assomigliano a mio figlio.
Mi
sveglio lunedì mattina ,scendo al bar e tutti sono allegri,commentano la
notizia del giorno. Qualcosa di grosso e straordinario sta sconvolgendo il
paese, cerco di accaparrarmi un quotidiano, ma tutti gli avventori sono
fiondati sui tre giornali disponibili nel bar. Non mollano la presa, io cero di
allungare la testa, ma subito uno di loro mi guarda in cagnesco…Cerco di farmi
spiegare il fatto, ma più il tipo cerca di descrivere la cosa ,più le sue
parole diventano incomprensibili.
Tutti
si arrabbiano ,ridono, esclamano, battono i pugni sul tavolo ,ed infine si
tranquillizzano.
La
barista mi guarda “Tutto bene?” Mi fa. “Sì” gli rispondo,sorridendo.
Il
caffè ha un buon sapore. Da fuori qualcuno mi saluta ridendo ,e mi chiede
qualcosa, ma il vetro che ci separa mi impedisce di capire le sue parole..
Cerco di spiegargli che non riesco a sentirlo e allora lui alza le spalle in segno di rassegnazione
e se ne va via tutto allegro.
Uscendo
penso a quel vecchio che avevo conosciuto in Russia molti anni prima. Aveva
perso tutto ,anche la fede negli uomini,ma trascinava il suo carretto di
oggetti usati ogni mattina nei mercati rionali ,camminando per ore. La
vicinanza della gente lo faceva sentire vivo, anche se non conosceva nessuno di
loro.
La
notte sognai, avevo faticato a prendere sonno, mia moglie si era rigirata molte
volte. Sudavo . Aprivo e richiudevo gli occhi in continuazione e nella penombra
vedevo o credevo di vedere ombre e colori.
Nel
sogno vidi le due vecchie zie che lavoravano a maglia in quella calda giornata
di fine agosto,sembravano non vedermi,la veglia funebre era già terminata e
dalla finestra si poteva vedere l’argine con la sua erba verde e luminosa e
l’aia dove razzolavano le galline vicino alle pannocchie distese al sole. Ogni
tanto il cielo veniva solcato dalla scia bianchissima di un aereo.
Al
bordo dell’aia stava il vecchio baule della signora Bellini .
Lei che aveva dovuto svendere tutto per fare
fronte ai debiti di gioco del figlio,mentre il marito era stato chiuso in manicomio.
Nessuno
era mai riuscito ad aprire il vecchio
baule. Il lucchetto e le cerniere erano ormai completamente arrugginiti,ed
erano diventati tutt'uno con il baule stesso. Chiesi da mangiare ,ma nessuno mi
sentiva,e fu allora che decisi di uscire.
Salii sul baule a cavalcioni e dopo un po’
sentii ribollire sotto alle mie natiche,si alzò un mulinello di polvere che
diventò sempre più ampio,e dopo un po’ faticavo a vedere tutte le cose intorno
a me .
Gridai
per la paura ,ma no riuscivo a staccarmi.
Stavo
volando!
Il
baule cominciò a prendere quota e si alzava per aria con me a cavalcioni. Ero
già arrivato al tetto della casa e continuavo a salire sempre più in alto. Ora
l’enorme aia bianca era soltanto un piccolo quadratino bianco che si stagliava
sotto al cielo azzurro.
Con
dei piccoli movimenti dei polpacci riuscivo a dirigere il baule nella direzione
che volevo e mano a mano che salivo il mio corpo diventava sempre più leggero e
mi sentivo sempre più tranquillo.
Nell’aia
giù in fondo cominciavo ad intravedere alcuni puntini neri, e così mi decisi a
scendere di quota.
I puntini ora aumentavano di dimensione
insieme al brusio da loro prodotto.
Erano
persone. C’erano le zie, i nonni, i miei compagni di fabbrica e di scuola.
Erano buona parte delle persone che avevo conosciuto nella mia vita. I vivi e i
morti.
Si
abbracciavano ed erano felici. Le loro risate mi giungevano da una distanza
infinita.
Chiamai
i loro nomi,ma nessuno mi sentiva. Come avrei voluto essere lì con loro
,finalmente avrei potuto nuovamente incontrarli tutti.
“Hei!
Oooooooooh! “Gridavo.
Solo
uno girò la testa. Era Alfredo.
Mi
guardava e sorrideva. “ Tirami giuuuu!”Gridai.
Mi
guardò indicandosi le orecchie con il pollice e l’indice,poi ruotando i polsi
fece il segno di chi non sente.
Gridai
ancora più forte “Aiutoooo! Alfredoooo!”
Ma
lui mi guardò per un istante ,poi alzò le spalle in segno di rassegnazione .
Distolse
lo sguardo da me e ricominciò a parlare ed abbracciare tutti gli altri.
Avevo
l’impressione che tutti gli altri non mi sentissero ..
“
Non puoi lasciarmi così! Io sono l’unico che ti è venuto a trovare quando stavi
male!”
Niente
da fare! Mi ignorava. Dalla casa uscì un vortice di vento che trascinò con se
ogni genere di cose.
Di
colpo il cielo sopra di me si fece nero come il carbone,e calò un grande
silenzio. Il vento portò a me aromi di legna bruciata e tutti i mille odori
dell’inverno .
“
Che strana sensazione” pensai .Mi
sentivo come quando da ragazzo dovevo consegnare un compito senza averlo
terminato.
Dal
mio cuore era sparita la paura. Sarebbe durato per sempre?
Guardai
sotto,ormai Alfredo e gli altri erano dei puntini neri nello spazio bianco.
Sapevo
che non li avrei rivisti. L’aria fresca mi carezzava facendomi dimenticare
questi pensieri.
Un
gruppo di strani uccelli piccoli e coloratissimi ,si posò sul baule.
“
Hei ! Bamboni ! Siete venuti a trovarmi?” Dissi ,carezzando la pancia bianca e
morbida di uno di loro. I suoi occhi erano pieni d’amore.
In
lontananza intravedevo montagne e luoghi meravigliosi avvolti dal velo della
notte e da odori stupendi . Ma la consistenza di queste cose,io non la saprei
descrivere con le parole ...
Qualcuno
di là mi stava aspettando.
Ritornò
la gioia dell’attesa che provavo da bambino e che ormai avevo quasi
dimenticato.
Prendevo
quota e mi stavo perdendo quando capii che non sarei ritornato mai più.
Nessun commento:
Posta un commento